Cala Colombo

 

Tratto di costa di Torre a Mare con localizzazione del sito archeologico.

Ingresso Grotta Colombro
Archivio privato Carolina Blasi 2020

Grotta Colombo si trova in Via dei Trulli all’altezza del numero civico 36 a ridosso dell’omonima cala.

II toponimo deriva dalla presenza di un albero di fioroni (chelòmbre) che prosperava nei pressi della cala circa un secolo fa, dove i marinai si concedevano una sosta per gustarne i frutti.

Questa, di origine marina, coeva ai limitrofi siti archeologici di Scizzo e Punta la Penna, fu esplorata dal Biancofiore, il quale riscontrò che era stata frequentata dall’uomo dal 3100 al 2400 a.C.. ed apparteneva ad un banco roccioso più alto e maggiormente distante dal mare rispetto ad oggi, quando il livello di quest’ultimo era di circa tre o quattro metri al di sotto di quello attuale.

Cala Colombro. Archivio privato. Carolina Blasi 2020.

Dalla Cala Colombo verso l’entroterra sorgeva un villaggio capannicolo come testimoniano diversi buchi per i pali delle sue costruzioni La grotta era utilizzata per le cerimonie funebri, come testimoniano gli avanzi di pasti, vasellame ad uso domestico, utensileria varia e resti di focolari, uno dei quali, il più grande, acceso forse davanti a un feretro privilegiato.

La grotta fu sepolcro e luogo di culto per le cerimonie funerarie di quella gente in due epoche del tardo neolitico, divise da un periodo di abbandono per distruzioni meteoriche; dall’ipogeo di Cala Colombo furono estratti i resti umani di 24 individui: 14 adulti oltre i 18 anni, 3 giovani dai 10 ai 18 anni, 5 bambini dai 2 ai 10 anni, un neonato deceduto nel primo anno di vita e un individuo rappresentato solo da un frammento di osso dell’omero con statura media di m. 1,57.

Durante il seppellimento dei morti si riattivavano i focolari a più riprese; i cadaveri inumati venivano posti su letti di ciottoli o erano racchiusi fortemente contratti, come in posizione prenatale, in involucri di argilla. Un piccolo scheletro fu rinvenuto in un vaso insieme ad utensili in osso, prevalentemente di ovini, punteruoli, spatole da vasaio, ami, corredo litico in selce e ossidiana (che accerta scambi commerciali con le isole Eolie e altre terre transadriatiche), manufatti vari di tradizione paleolitica. produzione propria dell’artigianato del tempo e del luogo.

Dagli zoologi sono stati studiati e classificati anche resti di pecore, capre, maiali, buoi, cani domestici, cervi. Dalla prevalenza di ossi di ovini e dalla presenza dei chicchi di grano gli studiosi hanno desunto che la comunità aveva una tradizione economica di carattere agricolo con allevamenti ovicaprini, mentre l’amo e gli ossi di animali selvatici e di uccelli indicano un’attività di caccia-pesca marginale ed occasionale.

La grotta ha suscitato particolare interesse da parte degli alunni della Scuola Elementare “G. Mameli” di Torre a Mare in un progetto di esplorazione del territorio guidati dalla insegnante Teresa Tagarelli negli anni Ottanta.

Oggi, insieme ad altre grotte della costa pelosina, versa in situazione di completo abbandono e degrado.

Approfondimenti

Contattaci!

Associazione Areantica

Via Martiri della Resistenza, 15 BARI - TORRE A MARE 70126