La paura di non riuscire. Dalla musica popolare al teatro totale Progetto didattico-educativo per la scuola media inferiore

Nino Blasi

  La presente relazione attiene a un percorso didattico-educativo realizzato presso la Scuola Media Statale “Eleonora Duse” di Bari nell’a.s. 1990-1991, rivolto a un gruppo interclasse di prime, per 9 ore settimanali, in orario extrascolastico, secondo quanto previsto dall’O.M. 10/01/83, VI comma, art. 14, legge 270, per cui erano previste «attività di sostegno per gli alunni che presentano specifiche difficoltà di apprendimento da attivarsi anche mediante interventi individualizzati, attività integrative per gli alunni aventi il fine di ampliare il campo dei loro interessi culturali che dovranno svolgersi in orario extrascolastico».

Immesso in ruolo come vincitore di Pubblico Concorso per Italiano, Geografia, Storia ed Educazione civica nella Scuola Media, in attesa di collocazione presso una sede definitiva, sono entrato nella “lista di attesa” della DOA (Dotazione organica aggiuntiva). A settembre il via, con la scelta nello scorrimento delle graduatorie presso il Provveditorato agli Studi: al mio turno, tra le cattedre disponibili in orario curriculare, decido di scommettere con me stesso, accettando il percorso alternativo all’insegnamento tradizionale, contemplato tra le possibilità del suddetto articolo 14.

Ha così inizio la programmazione, da elaborare insieme a una docente di Matematica, nominata per le stesse attività. Non è semplice inventarsi adeguate motivazioni per indurre a ritornare a scuola in orario pomeridiano (14,00-17,00), dopo l’orario scolastico curriculare (8,00-13,00), ragazzi “difficili”, recalcitranti nei confronti della realtà scolastica, spesso rigida, meritocratica, incapace di comprendere il disagio dei singoli, la cui emarginazione provoca atteggiamenti aggressivi. In tale prospettiva, la scuola doveva divenire una loro “amica”, accattivando la loro interiorità, le loro emozioni, i loro desideri, applicando un percorso metodologico che, mediatamente, potesse contribuire al raggiungimento di obiettivi almeno minimi nell’integrazione e nel profitto antimeridiano in classe. In alternativa alle aride lezioni frontali, sia pur sostenute da intraprendenti metodologie, sicuramente sarebbero state più opportune attività laboratori ali per piccoli gruppi e/o individualizzate che abbracciassero, nelle nostre competenze di docenti, la sfera delle discipline umanistiche e tecnico-scientifiche.

Ecco che si prospetta, nella mia mente, la possibilità di realizzare finalmente un percorso di “teatro totale” (condiviso dalla mia collega, anche se con una certa diffidenza), al cui cospetto mi risultavano timidi tentativi le mie precedenti, sia pur cospicue, esperienze di drammatizzazione a scuola.

Passo quindi all’azione.

Il gesto, la parola, la musica, gli effetti sonori, la danza, l’apparato scenografico nel suo vasto insieme (quinte, costumi, attrezzeria, luci, ecc.), pur conservando i propri meccanismi segnici, se opportunamente utilizzati si rivelano utili strumenti didattici. Pertanto, non mi sono posto come fine essenziale l’allestimento di uno spettacolo “professionalmente” valido; sia pur benevolmente accolto l’apprezzabile giudizio sul risultato estetico ottenuto, mi preme evidenziare che la “regia” di noi animatori si è limitata alla proposta e al coordinamento di attività per far leva sulle potenzialità degli alunni e svilupparne abilità, competenze di progettazione e realizzazione.

In questa prospettiva sono stati intesi e diversificati i cinque laboratori allestiti per le singole discipline, di cui sono state redatte unità didattiche (obiettivi, metodologie, contenuti, verifiche, valutazioni). A  titolo esemplificativo, i relativi campi d’azione potrebbero essere così delimitati:

educazione linguistica: redazione del “giornalino di bordo”, ideazione e stesura del canovaccio e del testo teatrale come riflessione sulla struttura comunicativa della lingua e dei suoi linguaggi;

educazione tecnica: ricerca, studio e manipolazione dei materiali per la progettazione e realizzazione della scenografia, dei costumi, degli oggetti di scena, di illumino-tecnica; utilizzo di strumenti tecnici (registratore, telecamera, mixer luci, ecc.), impaginazione giornalino di bordo;

educazione artistica: pitturazione pannelli scenografici, costumi, maschere in creta e cartapesta;

educazione musicale: cura della vocalità, arrangiamenti ed esecuzione corale e solistica di canti, realizzazione percussioni musicali con materiale povero;

educazione fisica: coordinazione psico-motoria finalizzata alla padronanza della tecnica mimica e della dimensione scenica, esecuzione di semplici passi di danza.

Dalle risultanze degli incontri con i Consigli di Classe, alle cui sedute abbiamo partecipato per le classi di nostra pertinenza, abbiamo costituito il primo nucleo di trenta alunni. Con un programma ambizioso, in seguito divenuto realtà, avendo ottenuto la stessa nomina nei successivi due anni scolastici, sono partito dalle prime classi e ho garantito la continuità del progetto allo stesso gruppo interclasse nel corso del triennio che, naturalmente, ha subìto alcune defezioni e integrazioni nel corso dell’anno e degli anni a seguire.

Con questa relazione, riferendo il mio percorso pluridisciplinare, spero di fornire spunti di riflessione per ogni riproposizione a venire, con le diverse varianti da determinarsi.

La realizzazione di questo mio percorso è stata effettuata grazie ad alcune competenze (teatrali, musicali e di animazione, pittoriche e scultoree) acquisite da esperienze artistiche personali e a seguito di corsi di formazione; ciò non esclude, però, la realizzazione del progetto anche in altri ambiti disciplinari, che lo potrebbero ampliare grazie alla collaborazione di altri colleghi curriculari disposti a offrire il proprio contributo, come spesso avviene in scuole di “frontiera” e come a me è avvenuto in questa circostanza, o come potrebbe avvenire in altre circostanze con la partecipazione di esperti esterni in progetti di dimensione più vasta (ad esempio, PON europei).

Il percorso progettuale si è sviluppato seguendo tre binari paralleli:

1) Nessuno sa che ho paura del buio: progetto in rete su antiche e nuove paure.

2) La paura di non riuscire: attività di animazione (teatro, musica, danza, pittura, scenografia).

3) La canzone di Bellafronte: libera riduzione teatrale dalla tradizione popolare pugliese

Nessuno sa che ho paura del buio

 Una fatidica, fortunosa opportunità è stata offerta dal progetto sperimentale Nessuno sa che ho paura del buio del teatro Kismet di Bari, con il patrocinio del Ministero del Turismo e dello Spettacolo e dell’Assessorato alla Cultura della Regione Puglia.

Con il proposito di indagare nel pianeta dei bambini e degli adolescenti, partendo dall’idea di confrontare vecchie e nuove paure, si è costituito un gruppo di lavoro a cui ho partecipato come docente referente insieme ad altri docenti di sette classi pilota cittadine di diverso ordine e grado che hanno aderito. I singoli incontri, di periodicità mensile, sono stati interessanti momenti di verifica e di confronto intermedi e conclusivi di esperienze tra docenti, con la proficua collaborazione e consulenza di alcune figure professionali: Franco Cassano (sociologo e docente dell’Università degli Studi di Bari), Pasquale Chianura (neuropsichiatra dell’Istituto di Terapia Familiare) e Daniele Giancane (docente di Storia della Letteratura per l’Infanzia dell’Università degli Studi di Bari).

Il mondo delle paure, vasto in maniera inimmaginabile, si è presentato, dalle testimonianze dei ragazzi, in tutta la sua varietà: endogene ed esogene, derivanti dalla cultura di massa o da quella popolare, archetipe o di personale rielaborazione (il più delle volte anche inventate da bambini e ragazzi, con i relativi nodi antropologici e psicanalitici, demologici e sociologici, nonché generazionali).

La letteratura per l’infanzia ha coltivato, e coltiva ancora, elementi e paesaggi paurosi, spesso risalenti ad antichi miti che narrano l’angoscia dell’uomo davanti alle forze naturali e al mistero dell’universo o per funzioni educative; far paura ai bambini serve ad allertarli contro i pericoli del mondo esterno: non inoltrarsi da soli nel bosco, non aprire la porta a sconosciuti, non stare fuori casa col buio, non trasgredire i consigli dei genitori, non rincorrere sconsideratamente i propri istinti di libertà. Indagare, analizzare e catalogare le paure è stato il punto di partenza per giocare con esse, al punto di considerarle normali, quasi fisiologiche, e quindi, in qualche modo, esorcizzarle attraverso diversi linguaggi. Sono proprio le paure che ci fanno scoprire le difficoltà del mondo esterno e ci fanno imparare a usare il mondo! La persona equilibrata è quella che riesce a conoscere le sue paure per controllarle meglio: se abbiamo paura della solitudine ci sforziamo di cercare gli altri, se abbiamo paura di non farcela di fronte a una prova difficile ci impegniamo. Aver paura di qualcosa è anche fonte di saggezza, perché ci rende coscienti dei nostri limiti e consapevoli dell’opportunità di sfidarli. Ma “vecchie e nuove paure” non sono facili e piacevoli da riconoscere.

Dall’analisi delle risposte ai questionari somministrati e sulla base delle risultanze delle attività intraprese, il percorso diventava sempre più affascinante, al punto di non poter più dividere le paure dei bambini da quelle degli adulti (errori educativi, trasmissione inconscia di angosce), perché non c’è essere umano che non avverta in sé alcuna paura: ad esempio, una persona che si ritiene buona ha paura di fare qualcosa di cattivo. Nei confronti dell’insuccesso scolastico dei discenti, da parte di alcuni insegnanti è emersa la paura di mettersi in discussione o la paura della non competenza, frequente come ricaduta da insegnamenti “tradizionali” con notevole rigidità educativo-didattica.

Il progetto si è concluso con la pubblicazione delle relazioni dei diretti attuatori del progetto nella sua globalità[1].

Una rassegna finale ha avuto luogo presso il teatro Kismet, con le rappresentazioni dei singoli spettacoli allestiti che, insieme al copioso e variegato materiale prodotto (scritti, disegni, poesie, racconti, espressioni grafico-pittoriche e scultoree) in mostra nel foyer, hanno dato testimonianza di un “momento forte” del fare scuola alternativo con un progetto di rete.

Scuola Media Statale “Eleonora Duse”, Bari

 La paura di non riuscire

Individuazione delle paure

 Dalla somministrazione del questionario base e da testimonianze personali di episodi vissuti ho catalogato alcune paure ricorrenti:

1) razionali del logico quotidiano (dei drogati, dei maniaci, dei ladri, del terremoto);

2) irrazionali (l’uomo nero, il gatto mammone, i diavoli, i mostri); largamente diffusa nella cultura popolare meridionale è in particolare la paura della “fata della casa”, spirito dispettoso che si aggira per le stanze domestiche e che ogni tanto lascia segni della sua presenza;

3) da relazioni sociali (i genitori, gli insegnanti, le figure leader adolescenziali).

Particolarmente rilevante e frequentemente riscontrata è stata la paura della guerra: essendo contemporaneamente in atto la prima guerra del Golfo, apparteneva al vissuto quotidiano una certa tendenza alla corsa ai supermercati per approvvigionarsi di scorte.

La paure sono state quindi espresse attraverso diversi linguaggi: disegni, maschere modellate in argilla successivamente realizzate in cartapesta sul calco prodotto, espressioni di mimica accompagnate da emissioni vocali

 

Dalle paure al canovaccio

Con l’obiettivo di motivare i ragazzi coinvolgendoli nel loro vissuto, piuttosto che un teatro di copione ho considerato più opportuno un teatro di animazione, da cui progressivamente si è delineato il canovaccio, attivando strategie, per così dire, “emozionali”, per facilitare l’emergere dell’inconscio, non certamente nell’intento di psicanalizzare i ragazzi, ma al fine di giocarci, e giocando portare in scena paure nascoste o mascherate, o non ancora precisamente individuate. Il tutto non senza difficoltà: se inizialmente inventare in gruppo il testo teatrale con la tecnica del work in progress creava paura, che paura, poi, quando il testo doveva scaturire dalle paure! Come dire: paura di aver paura.

Per partire, prioritariamente e insistentemente, occorreva consolidare nei ragazzi la fiducia in sé, che poteva solo nascere dalla sicurezza di essere accettati, per cui parlare delle proprie paure sarebbe stato come raccontare una bella giornata trascorsa al mare. Era essenziale rompere il ghiaccio per scoprire, come poi è successo, di possedere potenzialmente un’energia collettiva che, in una situazione positiva, ci porta ad affrontare le paure, esporci, essere accettati e creare insieme qualcosa di nuovo. Il punto iniziale è stato lo scambio di ricordi e di impressioni su qualche avvenimento che ha provocato paura: ogni ragazzo cercava di fornire quanti più particolari legati all’episodio, descriverlo, cercando poi di interpretarlo con la mimica. Con un’integrazione graduale si è invertito il percorso: alla mimica di un componente del gruppo, gli altri giocavano a indovinare di cosa si trattasse. Anche se non si trattava del testo definitivo, ossia del prodotto finale di tutta la preparazione, progressivamente si delineava, col gioco delle paure, la personificazione delle stesse, che avrebbe costituito parte dello spettacolo nella rappresentazione della “Banda Paura”. Questa, sulla scena, avrebbe metaforicamente inseguito il personaggio “Buio”, innocente vittima delle loro persecuzioni, poiché ricorrente, imponente, atavica e testarda nel non abbandonarci, per alcuni anche in età adulta, si è rivelata la paura del buio (dell’imprevedibile, di non riuscire a controllare la realtà, dell’inconoscibile, dell’annullamento del sé, della morte), che avvolge in sé e amplifica tutte le altre paure.

Dal canovaccio al sogno

È stato per caso (ed è giusto anche parlare di caso in un progetto sperimentale, di cui sono programmabili soltanto le linee essenziali di svolgimento) che si è creata una psicosi collettiva, che ha dato la possibilità di rimettere in moto una situazione stagnante in cui si rischiava di impantanarsi. Dal questionario base e dalle prime rappresentazioni delle paure nel mondo reale, che provocavano una certa diffidenza nel dichiararle (forse per non mostrare debolezza), si è passati alle testimonianze delle paure nel sogno, che hanno provocato un consistente mutamento: salvo alcuni alunni che hanno affermato di non ricordare, il raccontare qualcosa di fantastico, spesso arricchito dall’immaginazione da svegli che, apparentemente, sembrava non coinvolgere se stessi, si è rivelato un importante elemento catalizzatore per giungere alla conclusione che questa era la strada da battere. Ammettere nel sogno le paure più specificamente indotte dai meccanismi di relazioni sociali ha permesso di richiudere il cerchio al punto di partenza, allorché si era più restii a riconoscerle.

Scelta una situazione, si sono improvvisate le prime scenette, si sono formati dei gruppi per inventare ulteriori situazioni di paura paradossali possibili in un sogno. Dalle testimonianze di sempre nuovi sogni raccontati sono stati individuati alcuni protagonisti ricorrenti (mostri, fantasmi, vampiri, streghe, serpenti) e gli stati d’animo che più frequentemente si ripetono nella dimensione del mondo segreto: tensioni irrisolte (la paura di precipitare, la paura di non riuscire a far qualcosa, la paura di essere ammazzati), ma anche liberazione di energie represse, dove si possono superare i limiti della natura (sognare di volare), poiché nel sogno l’inesprimibile parla evocando le nostre necessità e, a volte, per elaborare soluzioni a problemi irrisolti. In altri casi, ancora, il confronto con la forte emotività vissuta sognando un incubo ci fa sentire più forti allorché al risveglio la paura è passata.

Il riferire sogni vissuti e analizzarli nel loro meccanismo segnico di libere associazioni al di fuori del tempo e dello spazio si è rivelato propedeutico per stimolare la creatività nell’elaborazione di situazioni fantastiche, nonché per ideare uno schema libero, il canovaccio del prologo dello spettacolo: un sogno collettivo nato dall’improvvisazione guidata nella recitazione a soggetto.

Dalle diverse testimonianze è risultata ricorrente la “paura di non riuscire”, non certo casuale in casi di disagio e di insuccesso scolastico. Poiché, di fatto, si stava montando uno spettacolo con tutti i timori e le ansie ad esso connessi, si sceglie come contenuto di fondo dello spettacolo proprio la paura di non riuscire a rappresentarlo. Si ipotizza, in effetti, che Il sogno di Nicoletta consisterà nella raffigurazione di ciò che un’attrice-protagonista del gruppo vive la notte precedente la prima, le molteplici vicissitudini che deve superare prima di poter finalmente rappresentare al pubblico lo spettacolo.

 

Il role playing formativo

 Cimentarsi nel drammatizzare le paure, o stati d’animo ad essa connessi, ha portato i ragazzi a capire gli atteggiamenti e le manifestazioni degli altri, a rendersi conto della personalità e originalità dei modi di sentire e di esprimersi. Le sottili sfumature tra un atteggiamento di angoscia, timore, insicurezza, tristezza, preoccupazione, dolore, ecc. sono state interiorizzate in esercizi continui, imparando come si costruisce un personaggio che non nasce dall’esteriorità, ma da una creazione interiore, verificando continuamente la corretta fruizione del messaggio secondo alcuni principi elementari della tecnica del role playing (di cui era stata offerta, precedentemente, una breve spiegazione metodologica). In particolare, alcuni esercizi di psicomotricità sono stati introdotti nel prologo, “comandati” in scena dalla protagonista Nicoletta.

Sulla base del tema di fondo, le paure, in apertura di giornata alcuni partecipanti, dopo aver raccontato storie reali, oniriche, immaginarie, sceglievano una situazione. Il proponente diventava conduttore, spiegando dettagliatamente quello che si andava a rappresentare; ognuno, presa coscienza del contesto, avanzava proposte per l’assegnazione delle parti che il conduttore valutava. Ho favorito una distribuzione quanto più spontanea delle parti (ho solo guidato le scelte quando ho riscontrato squilibri per eccessivi protagonismi o estraneazioni); spesso chi proponeva la situazione sceglieva il ruolo del protagonista o del narratore. I non prescelti diventavano gli osservatori, gli spettatori.

Allestito lo spazio scenico con eventuale attrezzeria necessaria, avendo cura di limitare tutto all’essenziale, iniziava la fase del gioco: la “situazione” scelta veniva rappresentata più volte, anche mimicamente o secondo le opportunità che si venivano a determinare. Ho utilizzato alcune tecniche elementari proprie dello psicodramma per rendere più vivo e realistico il role playing: l’inversione dei ruoli, il doppio, lo specchio, l’intervista, il soliloquio e l’autopresentazione di sé e degli altri in prima o terza persona.

Dopo lo svolgimento spontaneo di una scena, prima di passare a una replica della stessa, gli attori si spogliavano dei ruoli e rientravano nel gruppo per dar luogo alle due successive fasi.

Nella fase di “raffreddamento” (cooling off) il conduttore chiedeva agli attori le sensazioni e le percezioni rilevate, nonché le difficoltà riscontrate nel corso dell’interpretazione.

Ad essa faceva subito seguito la fase di analisi e rielaborazione (debriefing), in cui tutti concorrevano a sottolineare i punti in cui i comportamenti rappresentati dai partecipanti erano stati di maggiore efficacia.

Le simulazioni si sono rivelate particolarmente efficaci e interessanti quando la variante paura-insicurezza ha espresso disagi reali come quelli scaturenti da un litigio avvenuto tra ragazzi, da rapporti insegnante-alunno o genitore-figlio: le suddette tecniche basate sull’inversione di ruolo hanno permesso almeno una migliore radiografia di sé e delle reciproche responsabilità in rapporti conflittuali.

Giocando, i ragazzi, ad esempio, si sono trasformati da aggressore ad aggredito dalla propria aggressività, o, al contrario, da aggredito ad aggressore del proprio aggressore. Quante volte siamo incoscienti della nostra aggressività! In questo modo il gioco teatrale potrebbe generare, e spero possa aver generato, qualcosa di “pacificamente” alternativo alla violenza di una logica che spesso induce ad attacchi per timore di riceverne.

 Dal sogno allo spettacolo

Risulta evidente che in un teatro di liberazione, di guidata espressione di sé, di crescita umana e psicologica, durante le prove e le diverse repliche gli attori hanno messo in scena se stessi, essendo le “vicissitudini” le stesse che essi hanno provato realmente nelle fasi di montaggio, o immaginando situazioni che avrebbero potuto verificarsi (litigi fra gli attori per l’attribuzione delle parti o per il cattivo andamento delle prove, scherzi di scena, ecc.).

Il sogno da rappresentare è cominciato a divenire realtà nei laboratori per le diverse sezioni, ma principalmente ognuno vedeva nell’intimo avverarsi la possibilità di produrre qualcosa di proprio, degno di essere rappresentato, superando la paura di non riuscire. In particolare, si è configurata la possibilità di lavorare insieme con lo strumento teatrale, con le sue implicazioni a livello sociale e individuale, e di confrontarsi con le proprie insicurezze, controllandole tramite i gesti, la concentrazione, la musica, la danza. L’animazione drammatica ha offerto la possibilità di costruire un’elaborazione inventata della realtà che i ragazzi volevano comunicare: un’espressione di sé in cui, nel corso della rappresentazione, si diventava liberi nel gioco scenico.

In definitiva:

Sognando abbiamo avuto paura ma…

acquistando fiducia in noi

il sogno è diventato realtà.

Quindi, andando in scena,

la realtà è diventata finzione.

I canti popolari

 Considerate le nuove linee programmatiche ministeriali, che nella varietà delle proposte educative valorizzavano l’apporto delle tradizioni popolari nella loro valenza linguistico-espressiva (racconti, fiabe e favole, proverbi, termini linguistici, modi di dire, canti, ecc.), ho inserito all’interno del prologo dello spettacolo due canti popolari, eseguiti dal vivo con l’accompagnamento di chitarra da parte di un alunno – che, contemporaneamente, stava seguendo un corso base circoscrizionale per imparare a suonare lo strumento – e di me stesso , a “rinforzo” della chitarra, al flauto e al violino: il canto barese di pellegrinaggio San Nicola e Tignusì, tignusà, canto di corteggiamento a dispetto delle contrade di Monopoli. Al prologo faceva seguito la drammatizzazione de La canzone di Bellafronte. Questa proposta ha riscontrato ampia cassa di risonanza nel vissuto dell’utenza del quartiere periferico di San Girolamo di Bari, che prevalentemente utilizza il dialetto nella comunicazione linguistica. Particolare attenzione è stata riservata ai giochi all’aria aperta che, dalla diretta testimonianza dei ragazzi, sono eseguiti in scena.

Lo spettacolo si chiudeva con gli attori che intonavano Marcondirondero, canzone popolareggiante pacifista del cantautore Fabrizio De Andrè, con l’auspicio (speranza ahimè delusa) che non si ripetesse una tragedia come la prima guerra del Golfo, al tempo da poco terminata.

Per il reperimento dei documenti etnomusicologici, per la costruzione di percussioni legate all’esecuzione della musica popolare (putipù, tammorre), per la presentazione di strumenti (zampogne, ciaramelle, chitarra battente, ecc.), forniti da artigiani sopravvissuti all’industria della musica, e per l’esposizione della loro lunga storia, ci si è avvalsi della collaborazione dell’Associazione Culturale “Areantica” di Bari, gruppo di ricerca e di animazione sulle tradizioni popolari di Puglia e Basilicata, già da tempo operante sul territorio.

 

La canzone di Bellafronte

 Terminata la fase di teatro-animazione, prologo dello spettacolo, una volta che i ragazzi avevano acquisito i prerequisiti fondamentali del linguaggio teatrale, si è passati al libero adattamento teatrale de La canzone di Bellafronte, tratta dalla tradizione popolare marinara di Molfetta, raccolta nel 1936, solo nella parte testuale, dal ricercatore Saverio La Sorsa.

Diversi i motivi che mi hanno spinto all’uso didattico di questo testo: per l’educazione all’interculturalità, un tema che qui è sviluppato in maniera certamente più ricca e articolata che in qualsiasi altro testo, trattandosi di un racconto che si muove tra civiltà diverse; per l’alto valore educativo del motivo ricorrente nella favolistica popolare del “morto riconoscente” che ricompensa inaspettatamente il nobile gesto (il protagonista Bellafronte aveva donato le sue ricchezze senza chiedere niente in cambio); per la presenza, all’interno della trama, della ricorrente “paura della separazione”, che accompagna ciascuno di noi in vari momenti della nostra vita e con cui il protagonista, in tre occasioni (nei confronti del padre, della consorte e della morte), si trova a lottare.

La canzone di Bellafronte segue la struttura elementare della fiaba: la partenza dell’eroe (la costruzione della paura), il viaggio (la caccia alla paura) e la conquista (il ritorno a casa). Essa narra le vicende d’avventura e d’amore di un giovane perdigiorno, Bellafronte, figlio unico di un mercante, che in età matura viene richiamato dal padre alle responsabilità della propria vita e quindi inviato per mare per commerciare in Oriente. Durante il tragitto consuma i denari per liberare da una nave di pirati la bella figlia del Gran Sultano, Costanza. Il giovane non piega i propri sentimenti dinanzi all’insormontabile problema delle “differenze”, ma conduce la fanciulla di cui si è innamorato a casa sua, dove induce il padre ad accettarla. Ripartito nuovamente per mercanteggiare, si reca a Venezia dove, saputo della morte di un ricco mercante caduto in disgrazia, che non può essere seppellito per mancanza di denaro, dopo aver incontrato i creditori, li paga con oro e argento e fa seppellire lo sventurato mercante. Cacciato dal vecchio padre, che per la seconda volta gli rimprovera di aver sciupato il denaro, va con la giovane sposa a vendere panni e tappeti orientali, da lei stessa lavorati, nelle fiere della Turchia. Qui i lavori di ricamo della figlia del Gran Sultano sono pagati a peso d’oro. Ma i turchi, riconosciuti i manufatti, rapiscono con l’inganno la sposa e la riconsegnano al Gran Sultano. Bellafronte, disperato, si inoltra nella campagna, dove s’imbatte in un vecchio che lo conforta e promette di aiutarlo, a patto di dividere il guadagno. Catturati dai corsari, vengono venduti come schiavi al Gran Sultano e sono costretti a lavorare nel giardino del suo palazzo. Udito un giorno il canto dello sposo, Costanza riconosce Bellafronte e fugge in barca con lui e col vecchio. Durante il viaggio di ritorno, quest’ultimo pretende, secondo i patti, metà del guadagno e, di conseguenza, anche metà della fanciulla; alla reazione di Bellafronte, che impugna la spada, si fa riconoscere, dicendo di essere quel mercante morto di Venezia che aveva ricevuto da lui onorata sepoltura, e scompare. Bellafronte e Costanza tornano a Bisceglie e il Sultano, per vendetta, manda le sue navi a bombardare la città.

Il testo originario è stato ridotto in un atto unico, suddiviso in scene, i cui dialoghi sono stati introdotti dai diversi cantastorie.

Ciascun luogo del peregrinare del protagonista (Molfetta, la Turchia, Venezia, il mare, il giardino, le galee, la basilica di San Nicola a Bari) è stato contraddistinto dalle quinte mobili realizzate con cantinelle e telo sovrastante dipinto dai ragazzi.

Grazie alla consulenza e alla guida di alcuni docenti e di un esperto esterno, alcuni ragazzi hanno progettato e assemblato una piccola ed elementare centralina con potenziometri per comandare i fari di scena, apprendendo i principi fondamentali per la volumetria di un sistema audio-luci.

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FALSETTI F., Educazione al suono e alla musica. Il laboratorio tra sperimentazione e progettualità educative, Bologna, Junior, 2001.

JACQUES-DALCROZE É., Ritmo, musica e educazione, Milano, Hoepli, 1979.

TAMBURINI F., Suonando: 34 schede di giochi e percorsi sonoro-musicali, Bologna, N. Milano, 1991.

Progetti di musicoterapia nella scuola

ALBANESI E., Musicoterapia ed integrazione scolastica, «Musica et Terapia», 6, 2002.

BIANCHI G., CLERICI BOGAZZI A., Crescere con la musica. Esperienze cognitive terapeutiche vissute nella scuola attraverso il linguaggio dei suoni, il movimento, il simbolo e il fonema, Milano, Franco Angeli, 1990.

BORGHESI M., STROBINO E., Musicoterapia a scuola, «Musica et Terapia», 6, 2002.

OBEREGELSBACHER D., REZZADORE G., Il potere di Euterpe. Musicoterapia a scuola e con l’handicap, Milano, Franco Angeli, 2003.

Fonti del copione

GIOVINE A., Ninna nanne a Sanda Necole, Bari, Edizioni Centro Studi Baresi, 1986.

DI TURI L., Una volta e ancora, Monopoli, Monopoli, Assessorato alla Cultura Comune di Monopoli, 1988.

LASORSA S., Tradizioni popolari pugliesi. Canti d’amore, voll. I-II, Bari, F. Casini & Figlio Editore, 1933-1934.

DE ANDRÈ F., Tutti morimmo a stento, Sony Music Entertainment, 1970.

Il sogno di Nicoletta, ovvero La buffa opera di Buio e le sue paure

Atto unico

Personaggi in ordine di apparizione:

Buio

1° Cantastorie

2° Cantastorie

Nicoletta

Pellegrini

Banda Paura

1° Attore

2° Attore

3° Attore

4° Attore

1° Presentatore

2° Presentatore

3° Presentatore

Bosco

Narratore

Bellafronte

Ciurma

Costante

Padre

Turchi

Il Vecchio

Prologo

Scena in penombra.

Si sente in sottofondo una musica con lento ondeggiare di note.

Su una quinta laterale si proiettano alcune diapositive, progressivamente sempre più ravvicinate, di un gruppo di case abbandonate e diroccate in parte del quartiere San Girolamo di Bari.

Al lato della quinta, Buio, avvolto in un drappo nero, con una maschera bianca che gli copre in parte il volto, siede accovacciato per terra.

Buio

(Alzandosi lentamente, presenta se stesso narrando in terza persona) Di giorno Buio dorme in un angolino nascosto delle case di San Girolamo. Nessun bambino ha mai avuto il coraggio di andarlo a trovare lì, dove Buio si riposa per affrontare le fatiche della notte.

Ma Buio non è sempre stato qui sulla terra.

Buio si rimette a sedere accovacciandosi per terra. La musica si interrompe.

Entra il primo cantastorie dal lato opposto della scena, con un tamburo di latta; presenta se stesso narrando in terza persona.

1° Cantastorie

Dopo lungo peregrinare di piazza in piazza entra in scena il Cantastorie. E’ un uomo baldanzoso…(recitando a soggetto aggiunge ulteriori particolari; quindi, cambia tono e intervalla la battuta con un piccolo rullo) Attenzione, battaglione… Attenzione, popolazione… Cristiani, sentite, sentite…

Entra il 2° Cantastorie con una chitarra a tracolla e con un tamburo di latta che, ugualmente, presenta se stesso narrando in terza persona.

2° Cantastorie

Improvvisamente, come per miracolo, si presenta il 2° cantastorie. E’ un uomo ridicolo…(recitando a soggetto aggiunge ulteriori particolari; quindi, cambia tono e intervalla la battuta con un piccolo rullo) Cristiani accorrete, accorrete… È avvenuto un fatto strano… Cristiani, sentite, sentite…

1° Cantastorie

(Rivolgendosi ad un ipotetico spettatore che si distrae) Oh, vuoi stare attento! Cristiani, sentite, sentite…

2° Cantastorie

Una bimba di 10 anni è prigioniera di un tremendo incantesimo.

1° Cantastorie

Una bimba di 10 anni è stata rapita ed è tenuta prigioniera.

2° Cantastorie

C’era una volta… (da questo momento in poi i due cantastorie si alternano nella narrazione: mentre uno sfoglia e commenta dei disegni su un cavalletto, l’altro mima il recitato). C’era una volta, molto, molto tempo fa, un regno lontano, lontano, chiamato Fantasilandia. Qui, dove tutto era possibile, regnava un re con una lunga barba bianca chiamato Mistero. Questo re saggio aveva una figlia bellissima e molto buona chiamata Buio. Buio viveva felice saltando e facendo capriole tra una nuvola e l’altra. La sua carnagione era così rosea che quasi si confondeva col roseo candore delle nuvole.

1° Cantastorie

Ma in questo reame viveva una brutta strega cattiva che era invidiosa della bellezza e della bontà di Buio. La strega, mediante un pauroso incantesimo, costrinse Buio a lasciare per sempre Fantasilandia e vivere sulla terra dove i suoi occhi non riuscirono più a sopportare la luce. La Strega cattiva riunì tutti i peggiori delinquenti del reame formò una banda chiamata Paura e ordinò loro di seguire Buio dovunque andasse, facendole dispetti affinché con Buio ci fosse anche Paura.

2° Cantastorie

È per questa ragione che Buio esce di notte e le piace andare a trovare i bambini quando dormono nella loro cameretta e avvolgerli tra le sue braccia, ricordando quando anche lei viveva felice.

1° Cantastorie

Ma la pericolosa banda Paura si diverte a fare scherzi e spaventare i bambini.

2° Cantastorie

Stanotte Buio è andata a trovare Nicoletta ed è da questo momento che inizia, cari Signore e Signori, “Il sogno di Nicoletta”.

1° Cantastorie

Cristiani, sentite, sentite. Una bimba di 10 anni è stata rapita ed è tenuta prigioniera.

2° Cantastorie

Cristiani, sentite, sentite. Una bimba di 10 anni è prigioniera di un tremendo incantesimo.

I due cantastorie escono.

Buio.

 

Scena Prima

(Nicoletta, Buio e Banda Paura)

Su una quinta vengono proiettate alcune diapositive che procedono per associazioni di immagini tipiche del meccanismo del sogno, durante l’intera scena prima.

La scena è in penombra. Sul fondale è disegnata la camera di Nicoletta. Le quinte sono disposte in modo confuso, così come l’attrezzeria.

Un faro-cercapersone segue Nicoletta nei suoi movimenti.

Entra Nicoletta in camicia da notte. Si guarda intorno confusa.

Nicoletta

Che mi è successo? … Dove mi trovo! … (avanzando e guardando il pubblico sorpresa) Iiiih… E questi chi sono? … Che ci fanno in camera mia? Stavo dormendo e tutto in una volta mi trovo in piedi con tutta questa gente in camera mia.

Buio si alza, si avvicina a Nicoletta e da dietro tocca  con la mano la sua spalla.

Nicoletta

(Spaventata) Madonna mia del Carmine! … Santissimi Medici di Bitonto! … E questo fantasma con il lenzuolo nero chi è?

Buio

Sono Buio.

Nicoletta

(Tra sé) Buio? L’avevo detto, io, che questo è un fantasma. Ma quando mai si è visto il buio con luci accese.

Buio

Non temere. Sono una bambina come te e sono venuta a trovarti nella tua cameretta mentre dormi.

Sciocchina, non ti rendi conto che stai sognando? Stai sognando di trovarti nel teatro dove reciterai lo spettacolo di domani. Vai, comincia il tuo spettacolo, ma attenta: sono inseguita dalla Banda Paura.

Buio esce. Si sentono i suoni e le grida della paura fuori campo. Effetto di controluce sugli attori che corrono dietro le quinte del fondale.

Nicoletta

È vero. Sto sognando lo spettacolo di domani… Il teatro… il pubblico… Tutto come sarà domani… Però questo è il mio sogno… Lo spettacolo oggi sono io a dirigerlo in questo magnifico sogno… Il teatro…  Il teatro… questa non è terra di teatro!

Si sentono grida di venditori di mercato, prima singolarmente, successivamente si sovrappongono, salgono di intensità di volume, per poi decrescere seguendo le indicazioni di Nicoletta che si improvvisa direttore d’orchestra.

Nicoletta

Ve l’avevo detto: questa non è terra di teatro!

 

Scena seconda

(Nicoletta e i Pellegrini)

Luce piena. Entrano i Pellegrini: storpi, procedono a fatica, in processione, aggrappandosi l’un l’altro, intonando con un filo di voce, stonando, il ritornello della canzone popolare barese “Sanda Necole.

Pellegrini

Allegre pellegrine SandeNecole ava partì

Allegre maranare Sanda Necolevà pe mare

Nicoletta

E questi altri, chi li ha mandati? Ci voleva pure quest’altra visita oggi. (Ai pellegrini) Scusate, se non disturbo molto viste le condizioni, potete ripetere!

I pellegrini ricantano a stento il ritornello e terminatolo cadono a terra come morti.

Nicoletta

Sì, questo l’ho capito, ma chi siete?

Pellegrini

(Alzando appena il busto, in coro) Siamo i pellegrini.

Nicoletta

I pellegrini? E dove andate? (non sentendo nessuno rispondere, scuote un pellegrino) Oh, dove andate?

Pellegrini

(In coro) A San Nicola, a ringrazià (un attore trascina in scena la quinta con l’immagine della basilica di San Nicola)

Nicoletta

(Guardando stupita i pellegrini ad uno ad uno). Ah, a ringraziare, pure!…  Mbeh, adesso me la vedo io.

Nicoletta batte tre volte il tamburello a tempo di tarantella. I Pellegrini si rialzano guariti.

Entra il chitarrista che accompagna il canto Sanda Necole, intonato dai Pellegrini contenti, con strumenti poveri a percussione.

Sanda Necole và pe mare

Va vestute a maranare

E cavole la mendagnole

Sanda Necole jè tutta d’ore

Allegre pellegrine Sande Necole ava partì

Allegre maranare Sanda Necole và pe mare

Sanda Necole jè d’arginde

Va pe mare e ammene u vinde

Va pe terre chine de sola

Sanda Necole jè tutta d’ore

Allegre pellegrine Sande Necole ava partì

Allegre maranare Sanda Necole và pe mare

E stasere u ame annusce

Chi li torce e chi li lusce

E miradeloquandejè belle

E cajè Sanda Necole

Allegre pellegrine Sande Necole ava partì

Allegre maranare Sanda Necole và pe mare

 

I Pellegrini escono cantando.

Scena terza

(Nicoletta, Buio, Banda Paura, I°,II°, III° e IV° Attore)

Buio

(Sporgendo appena il capo dietro una quinta) Vai, Nicoletta, vai, comincia il tuo spettacolo!

Buio scappa da un lato all’altro del palcoscenico ed esce. Entra la Banda Paura che sta inseguendo Buio. Tutti i componenti, col viso mascherato emettendo suoni e voci da spavento, girano in cerchio intorno a Nicoletta che, terrorizzata, tenta invano di scappare. Gli attori chiedono, disordinatamente, a Nicoletta se avesse visto Buio. Dopo due giri intorno a Nicoletta, la Banda Paura esce.

Nicoletta

(riprendendosi progressivamente dall’incubo) Allora… due per due… due per tre… tre per tre… Allora… sì, certo. Cominciamo. (guardandosi intorno in cerca del da fare, trova alcuni oggetti dell’attrezzeria) Ah, sì, la corona del re… il cappello del mago… la parrucca della brutta strega cattiva, l’oggetto magico… e infine, per voi, magnifico pubblico… gli attori! …  gli attori? … (si accorge che non ci sono gli attori e ripete la presentazione) Signori, gli attori! … (tra sé) non ci sono gli attori… gli attori… (da questo momento in poi compariranno su una quinta delle diapositive con mimica facciale di tutti gli attori che, una volta evocati e chiamati da Nicoletta, entreranno in scena giocando tra loro come se stessero all’aria aperta)… Bene, ci siamo tutti. Possiamo cominciare. Forza ragazzi.

Nicoletta esce insieme a tutti gli attori.

Scena quarta

(1°, 2° e 3° Presentatore, Bosco, 1°, 2°, 3° e 4° Attore, Nicoletta)

Entrano progressivamente 1°, 2° e 3° Presentatore.

 

1° Presentatore

Ladies and Gentlemen, Mesdames et Messieurs, Signore e Signori. I’m very happy to present to you.

2° Presentatore

Je suis très content de vous presenter.

3° Presentatore

Per la prima volta in Italia.

1° Presentatore

For the first time in Italy.

2° Presentatore

Pour la première fois en Italia.

3° Presentatore

Per la prima volta in Italia.

1° Presentatore

The Royal Company of  London.

 

2° Presentatore

La Compagnie Royale de Paris.

3° Presentatore

La Compagnia Reale di Bari.

 

1° Presentatore

Della scuola “Eleonora Duse” nello spettacolo “Il sogno di Nicoletta”.

Entra Bosco, che nello spettacolo è realmente il tecnico audio-luci, con alcune foglie e rametti appesi al corpo.

Bosco

Oh, dove andate? … io sono Bosco… ed io… neanche mi chiamate… e com’è… ho fatto le scene… ho gettato il sangue e questo è il ringraziamento… sono io il presentatore.

Tutti gli attori ritornano in scena protestando.

Bosco esce indignato.

Rientrano progressivamente 1°, 2°, 3° e 4° Attore.

1° Attore

Voglio proprio vedere chi farà oggi la parte della protagonista.

2° Attore

(Canticchiando la melodia popolare barese Lu primo ammore)

U vite, u vite c amo se ne véne

Co la sigaretta ‘n mocche va facenne u sceme

 

fa finta di non sapere… e chi la deve fare?

3° Attore

Oggi sono io la primadonna, perché? Mi manca qualcosa?

4° Attore

È arrivata la Madame. E si è messa anche l’eau de gabinette, per dirla alla francese.

3° Attore

Hai qualcosa da dire?

Entra Nicoletta.

 

Nicoletta

(Rivolgendosi ad uno spettatore) E tu, dietro l’angolo che ti sei messo a fare? … il ragazzo io ce l’ho e di te che ne devo fare. Ueh, Tignusì Tignusà, l’amore è una rotella, gira e volta e se ne va.

Gli attori intonano, in coro, la prima strofa ed il ritornello della canzone popolare monopolitana Tignusì Tignusà, accompagnandosi con strumenti a percussione poveri.

Rète all’u pezzule cè tapuest’ a fè

U zite ji tènghe u zite ji u tènghe

Rète all’u pezzule cè tapuest’ a fè

U zite jitènghe i de tè cè n’agghia fè.

 

Uè Tignusì Tignusì Tignusà

L’amore è narutèlle l’amore è narutèlle

Uè Tignusì Tignusì Tignusà

L’amore è narutèlle gire e volde e sé né va.

 

1° Attore

Ah, è così? Beh! Devi sapere che (i quattro attori, a turno, recitano le quattro strofe della canzone popolare monopolitana “Tignusì, Tignusà” a mo’ di insulto tra gli abitanti delle diverse contrade).

I fèmene d’a Porta Nove piscene ‘ndèrre i discene chè chiove

Ce Cristeiè de vendètte ce Cristeiè de vendètte

I fèmene d’a Portè Nove piscene ‘ndèrre i discene chè chiove

Ce Cristeiè de vendètte ‘u già vè chiodere u rubenètte.

 

I fèmene d’Ampalète sonde totte ‘ndelechète

A forte ‘ndelechètèzze a forte ‘ndelechètèzze

I fèmene d’Ampalète sonde totte ‘ndelechète

A forte ‘ndelechètèzze i chelombre so’ de pèzze.

 

I fèmene de sen Gelarde sonde totte chiène de larde

Larde i presotte larde i presotte

I fèmene de sen Gelarde sonde totte chiène de larde

Larde i presotte, i uagnune accogghiene totte.

 

I fèmene se Sènda Lucè sonde totte avvachendë

Se volene ammaretè se volene ammaretè

I fèmene se Sènda Lucè sonde totte avvachendë

Se volene ammaretè i u mèrite ci ngià ve dè.

 

Tutti i presenti cantano per intero la canzone “Tignusì, Tignusà”, alternando le singole strofe col ritornello.

Scena quinta

(Nicoletta, 1°, 2° e 3° Presentatore, 1°, 2°, 3° e 4° Attore)

Nicoletta

Oh… che è successo? Che è il manicomio! …(rivolgendosi al primo attore) Scusa, chi sono io?

1° Attore

Nicoletta.

Nicoletta

(rivolgendosi al 2° attore) Oh… come si chiama questo spettacolo?

2° Attore

Il sogno di Nicoletta.

Nicoletta

Oh… e allora? Questo è il mio sogno e sono io che comando. Dovete fare quello che dico io (tutti gli attori eseguono in gruppo gli esercizi di psicomotricità, diverse volte ciascuno, seguendo le indicazioni di Nicoletta).

Adesso camminate sciolti per il palcoscenico. Sciolti e disinvolti! Appena batto le mani bloccatevi come in una foto e quando le ribatto ricominciate a camminare.

Seguite sempre il battito delle mani per iniziare e finire un esercizio.

Adesso che ricominciate a camminare, fatelo più lentamente fino a fermarvi.

Adesso ricominciate a camminare con la paura di essere inseguiti. Guardate sempre dietro se qualcuno vi ha visti.

Adesso camminate cercando qualcuno più avanti tra la folla.

Adesso camminate lentamente. Inspirate profondamente ed espirando emettete un piccolo suono che lentamente sale di volume per poi ridiscendere.

Adesso uscite e andate dietro le quinte a prepararvi.

(Nicoletta ridacchia ricordandosi qualcosa e racconta quindi una barzelletta; al termine di essa ride soddisfatta).

Durante la risata la Banda Paura si posizionano alle spalle di Nicoletta. Interrompono la sua risata con i suoni della paura per poi restare bloccati come in una foto. Nicoletta si diverte a levare la maschera e presentare al pubblico tutti gli attori.

Nicoletta

La Reale Compagnia si è divertita? Possiamo cominciare lo spettacolo adesso? E cominciamo.

Gentili Signore e Signori,

siamo lieti di presentarvi:

 “La Canzone di Bellafronte”.

La canzone di Bellafronte

Scena prima

(Narratore, Bellafronte, Ciurma, Costante)

A Bisceglie. In mare.

Narratore

Ng’ère ‘nu ricche mercande, catenève ‘nu sole figghie,

E pe’ ttalaraggione se redecie alla mala vite.

‘U patre ‘u velìlevà da la mala vite,

E ‘u ‘mbarche nella sua varche che marcanzie.

Bèllafronde a bburde s’è ‘mbarcate,

Che totte la marcanzia preparate.

Trèggiorne avève ca ère partite,

‘Nu bregandine ‘nnanze hannen gondrate.

Bèllafronde li volse addimannà.

Bellafronte

Da ddò venite che chèssa ggènde qquà?

Ciurma

Nù sime crestiane fesciute d’o levande,

E pertame chèssa ggènde ‘n salvamènde.

Bellafronte

A bbùrde cè marcanzie vù pertate?

Ciurma

Pè marcanzie avime ’na donzèlle,

la figlie du Gran Sultane de la Turchie.

Bellafronte

Velite la donzèlle fa comprà.

Ciurma

iè ’un bèl talènde

E volene tre mila scute d’ore e d’argènde.

Bellafronte

Bèllafronde non abbate a le denare,

Pe’ d’avè tala bellèzze nèlle sue mane.

A bburde alla mia varche la ‘mbarcave,

E che tutte l’attenzione la trattave.

Narratore

La cara donne facève ‘nu gran chjande,

Vedènnese de vènne che tanda denare.

Bellafronde

Non chjange, amore mie,

Ca ie non te vènne, te sposerà.

Narratore

Subete pigghie la strate d’u retorne,

girave la varca sue, girave ‘n dorne.

E pe’ Viscègghie ndrizze il suo cammine,

Felice e chendènde de la sua sposine.

Scena seconda

(Narratore, Padre, Bellafronte, Costante)

A Bisceglie.

Narratore

Quanne ind’a Viscègghie av’arrevate,

Se dette funne che l’anghere e pondicèlle.

Padre

Bènvènghe! Figghie de coragge,

Qual è la marcanzie che pùerte d’o viagge?

Bellafronde

Mio patre, pe’ marcanzie porte ’na donzèlle,

Mo’ l’avit a vedè quant’è bbèlle!

È figghie du Gran Sultane de la Turchie.

Padre

Oh! figghie malaccorte e maledètte,

De marcanzie de donne tìene ’ndèllète?

Bellafronte

Mio patre, si me la date de vère core,

Te sarò buone figghie fin’alla morte.

O patre, ci me la date cu core chendènde,

ie te sarò ‘u figghie cchiù abbediènde.

Narratore

A lu suo patre le trasì ind’o coère,

che multe servetore la fèce sbarcà.

Che ‘na gran fèste la fèce battezzà,

Costante e Costantine la fa chiamà.

Trè anne aunite avèvene state,

Quanne u’ patre acchessì l’ave parlate:

Padre

O figghie, tu ‘nu alte viagge ha da fa,

Tu a Venèzie ha da sci a carecà.

Narratore

Lu chjande ca facève la cara donne,

Ca avève da partì il suo conzorte.

Costante

’Nu tricce m’a tagghiate da la mia tèste,

’M piette l’ha puèste che gran fèste.

Lu viende e la fertune de scèssen fagore,

Prèste retorne da mè che vvère amore.

2° Narratore

Bellafronde a bburde s’è mbarcate,

che tutte la marcanzie preparate.

Scena terza

(Narratore, Bellafronte, Veneziano)

A Venezia.

Narratore

Quanne ind’a Vinèzie av’arrevate,

Se dètte funne che anghere e pondicèlle.

A ’nu candone trevarene ’n ’omene mùerte,

A ’nu vècchie andiche li volse addimannà.

Bellafronte

Percè ’su muèrte non ze porte a sebbellì?

Veneziano

Cusse è ’nu mercande c’av’affallite,

e le debeture nge l’hanne ’mbedite.

Bellafronte

Ie ve pagherò tutte de condande.

Anneciteme re scritture ’n paragone,

Ie ve pagherò c’argiend’e ore.

Narratore

Bellafronde a bburde se n’av’andate,

Sènza denare e sènza marcanzie.

Scena quarta

(Narratore, Padre, Bellafronte, Costante)

A Bisceglie.

 Narratore

Quann’ind’ a Viscègghie av’arrivate,

Se dètte funne d’anghere e pondecèlle.

Padre

Bènvènghe! Bèn tornate,

Da cusse seconne viagge ccè ssi pertate?

Bellafronte

Te diche la veretà, patre mie,

E tu m’ha da perdenà ‘u peccate mie.

Paghìebbe le diebete de ‘nu mùerte affallite.

Ca de sebbellirle avèvene ‘mbedite.

Padre

O figghie malaccorte, malandrine,

Tu proprie me vu’ mannà alla ruine!

Narratore

Fore de la cettà ‘u manne vie,

Sènza denare e sènza marcanzie.

Costante

Non chjangere, mio care,

Ca sacce fa le solde che devèrsa manère.

Panne e tappète sacce recamà,

E nesciune pettore de sìeste le sape fa.

Alla fèere de la Turchie l’ha da sci a vènne,

Quante tu ne cierche, tande te ne danne.

Narratore

’U spose che tutte ’u core l’ha rengraziate,

E alla fèere de le Turchie se n’av’andate.

Scena quinta

(Narratore, Bellafronte, Turchi)

In Turchia.

Narratore

Quanne alla fèere de le Turchie av’arrevate,

Subete le Turchie se n’hanne avvertite.

I Turchi

Quèst’èlavore de la Gran Sultane.

Ggiovene, ci tu lu vinne, nu’ ’u combrame.

 

Bellafronte

Ne voghhie tre mila scute d’or’ e d’argènde,

Venite alla mia case, c’adda le tènghe.

Narratore

Subete la Turchie se n’avene andate,

Secure de trevà la donna cercate.

Scena sesta

(Narratore, Turchi, Bellafronte, il Vecchio)

A Bisceglie.

Narratore

Quanne alla Gran Sultane hann’arrivate,

Turche e tartere l’hanne parlate.

I Turchi

Si tu te ne vu’ venì, tu si’ salvate,

‘U tuo padre qqua ci ave mannate.

Narratore

Po’ decèrene a Bellafronde

I Turchi

Pigghiate la moglia voste,

Scime a ffà ‘nu pranze alla varca noste.

Avit’a scusà,

Prime la donne abbesogn’ambarcà.

Narratore

Quanne la Gran Sultane a bburde s’è ‘mbarcate,

Bellafronde sop’o muèle av’allassate.

Oh! ’U chjande ca facève ‘u svenderate!

Quanne se vidde sop’o muèle abbandonate.

La vie de la cambagne ave pegghiate,

Pe ’nnande ’nu povere vècchie ha trevate.

Bellafronte

O zi vècchie, nzigneme la strata maggiore

Pe’ scì a trevà ’u mie amore.

Vecchio

Come a ddu frate avimm’a cambà,

com’addu frate hamm’a spartì.

Acchessì, ci trovamme la moglia perdute,

com a ddu frate l’hamm’ a spartì.

Narratore

’Nu ggiorne stavene lendane a pescà,

E ’na varche de Turche stav’a passà.

Lore ’mmane de Turche furene pegghiate,

E alla Gran Sultane furene pertate.

Ind’o ciardine d’onore furene destenate,

E sèrve du Gran Sultane furene dichiarate.

Scena settima

(Narratore, il Vecchio, Bellafronte, Costante)

Nel giardino.

Costante

Me pare u cande du amore mie,

Cure ca ie pènze la notte e la die.

Dimme, ggiovene mi, come te chiame?

Bellafronte

Me chiame Bellafronde vèramènde,

E sso de la cettà de Viscègghie.

 

Costante

Rengraziame Ddie can an zi pèrse la drètte.

Com’hamma scappà?

 

Bellafronte

Tu al tuo patre ’na grazie ha da cercà,

Che ’navarche de crestiane ha da dà.

Nesciune t’av’a ’mpedì de perà nzieme,

Fèmmene, maschele, sèrve preggenìere.

Scena ottava

(Narratore, il Vecchio, Bellafronte, Costante)

In mare.

Narratore

A bburde de la varche s’hanne ’mbaate,

Facèvene cinguanda migghie de bbune cammine.

La matine ’u vècchie decì a Bèllafronde.

Vecchio

Qual è state l’accorde ca hamme fatte?

Come tanne, èreme chembagne a la mala sorte,

Acchessì mo’ ci hamm’ a sparte la recchèzza noste.

Narratore

S’hanne spartute la monète de bbona voglie.

Vecchio

E la vostra moglie?

Narratore

Bellafronde la spata ave cacciate,

Ma ’u vècchie da drèete pe vrazze l’ha pegghiate.

Vecchio

Fèrme, mio Bellafronde,

Quèsta nostra recchèzze è tutte rrobba voste.

Quèste è vostra moglie: iè so’ quel vècchie

Ca tu sop’ a quèl muèle sebbelliste.

Narratore

‘U vècchie mò ng’ère e mò non g’ère

E s’ère squagghiate com’ alla cère.

La prote pe’ Viscègghie ndrezzò il suo cammine.

E pertò le ddu ggiuvene addo stavene prime.

Ma ccè fèsce quel cane du Gran Sultane?

Viscègghie ave mannate a bbombardà.

 

Scena nona

(Tutti gli attori)

Tutti gli attori, eccetto Nicoletta, entrano in scena emettendo suoni di un bombardamento; successivamente, bisticciano sulla scena per le parti attribuite e per l’andamento dello spettacolo.

Rientra Nicoletta.

Nicoletta

Gli attori bisticciano davanti al pubblico! Che figura ci sto facendo! Michele, Rocco, solo loro possono salvarmi.

Sulla quinta laterale appaiono le diapositive di Michele e Rocco. Entrano Michele e Rocco con le chitarre e tutti i presenti cantano in coro “Girotondo”, accompagnandosi con strumenti a percussione, e ballando.

Se verrà la guerra, Marcondiro ‘ndera

Se verrà la guerra, Marcondiro ‘ndà

Sul mare e sulla terra, Marcondiro ‘ndera

Sul mare e sulla terra chi ci salverà?

 

Ci salverà il soldato che non lo vorrà

Ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà

 

La guerra è già scoppiata, Marcondiro ‘ndera

La guerra è già scoppiata, chi ci aiuterà

Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro ‘ndera

Ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà

 

Buon Dio è già scappato, dove non si sa

Buon Dio  se n’è andato, chissà quando ritornerà.

 

L’aeroplano vola, Marcondiro ‘ndera

L’aeroplano vola, Marcondiro ‘ndà.

Se getterà la bomba, Marcondiro ‘ndera

Se getterà la bomba chi ci salverà?

 

Ci salva l’aviatore che non lo farà

Ci salva l’aviatore che la bomba non getterà.

 

La bomba è già caduta, Marcondiro ‘ndera

La bomba è già caduta, chi la prenderà?

La prenderanno tutti, Marcondiro ‘ndera

Sian belli o siano brutti, Marcondiro ‘ndà.

 

Sian grandi o sian piccini li distruggerà

Sian furbi o sian cretini li fulminerà.

 

Ci sono troppe buche, Marcondiro ‘ndera

Ci sono troppe buche, chi le riempirà?

Non potremo più giocare il Marcondiro ‘ndera

Non potremo più giocare il Marcondiro ‘ndà.

 

E voi a divertirvi andate un po’ più in là

Andate a divertirvi dove la guerra non ci sarà.

 

Voce fuori campo

Nicoletta, Nicoletta! Svegliati, è tardi.

Tutti gli attori restano bloccati sulla scena come in una fotografia.

Buio.

Sipario.

[1] Le paure dei bambini. Fenomenologia del