Enzo Del Re. La sedia che canta

Nino Blasi

Nell’ambito delle testimonianze della musica popolare cantautorale, Vincenzo Del Re, noto come Enzo Del Re (Mola di Bari, 24 maggio 1944 – Mola di Bari 6 giugno 2011), “Carvaun” come soprannome di famiglia, riveste un’importante rilevanza per la sua rielaborazione dei prototipi della cultura tradizionale: «La prima produzione di Enzo era infarcita da una grande ironia e poeticità; la seconda è caratterizzata dalla vena poetica e anarchica; nell’ultima fase, invece, aveva perduto lo smalto degli anni migliori; la melodia era divenuta monocorde e ripetitiva, sviluppandosi su poche note»[1].

Questa classificazione in termini cronologici secondo categorie crociane, azzardata nel caso dell’analisi dell’evoluzione di un pensiero, testimonia in ogni caso la convivenza di diverse fonti di ispirazione nella mente del nostro autore. I canti di Enzo Del Re, infatti, sia pur densi di emotività e fluidi nella espansione poetica, sottendono, talvolta pesantemente, diversi paradigmi della ideologia del dissenso degli anni ’60 che contraddistinse larghe fasce di intellettuali. Una serie di motivazioni politico-sociali, di ordine tutt’altro che cerebrali, partorì in ambito filosofico un movimento di pensiero che si allargò in successive manifestazioni di una cultura che si autodefiniva “altra” in opposizione a quella del “potere”, con l’intento di demistificarne i valori, legandosi a radicali prese di posizione politica sino a far esplodere in modo radicale ed oltranzista un vero e proprio processo a tutto il presente ed al passato, in quanto ideologicamente connesso ad esso. L’alto valore che fu attribuito, ad esempio, all’immaginazione da H. Marcuse si riscontra nel canto Comico, nel secondo LP Il banditore:

Ridere, si fa per ridere / tutta la strada fino all’altro mondo. / Giap, Giap, Ho-Chi-Min in allegria, / Giap, Ho-Chi-Min con buon’umore / Ho-Chi-Min ventiquattr’ore. / Comico, mi piace il comico, / il mondo ride e la vita passa / Giap, Giap, Ho-Chi-Min in allegria, / Giap, Ho-Chi-Min con buon’umore / Ho-Chi-Min ventiquattr’ore. / Ridere, mi piace vivere, / la fantasia che ci sta nel kolkoz. / Giap, Giap, Ho-Chi-Min in allegria, / Giap, Ho-Chi-Min con buon’umore / Ho-Chi-Min ventiquattr’ore. / Ridere, mi piace ridere, mentre scoppia la rivoluzione. / Giap, Giap, Ho-Chi-Min dei proletari / Giap, Ho-Chi-Min contro gli agrari / Ho-Chi-Min e il capitale. / Ridere, mi piace mettere al potere l’immaginazione / Giap, Giap, Ho-Chi-Min in allegria, / Giap, Ho-Chi-Min con buon’umore / Ho-Chi-Min ventiquattr’ore. / Ridere, si fa per ridere, / tutta la strada fino all’altro mondo. / Giap, Giap, Ho-Chi-Min in allegria, / Giap, Ho-Chi-Min con buon’umore / Ho-Chi-Min ventiquattr’ore. /Comico, mi piace il comico, / ridere si fa per ridere. Comico, mi piace il comico, / ridere si fa per ridere[2].

Non da meno è da considerare in quella stagione culturale, come nel caso di T. Adorno, il protagonismo concettuale dell’utopia col suo alto grado di indipendenza che, come fattore dinamico nella prefigurazione di una società futura e nella negazione di quella attuale, tanto animò la speranza: la breve ed ingenua avventura del Maggio francese sembra animare I pret, ammagliante rivolta contadina, intervallata, tra le strofe, da un fischiato da film western per la resa dei conti all’alba:

Domattina alle tre / per fare un altro muro / domattina alle pietre / dovete venire. / Vi farò mettere il confine, / vi farò fare un’altra roccia, / domattina alle pietre / dovete venire. / È finita la cuccagna: / nessuno più ci inganna. / È finita la cuccagna, nessuno più ci divide. / Non si lega più l’asino / dove dice il padrone. / Noi con tutte queste pietre / faremo solo una strada. / La vita nuova che porta / tutti direttamente al mare, /dove sta tutto il bene, /dove sta il nostro bene. / Domattina alle pietre / per fare solo una strada; / domattina alle 3… / RIVOLUZIONE[3].

Del Re ha rivalutato l’utopia come obiettivo di decisivo e costante impegno etico, la forma più estrema della ribellione e della denuncia, evocando modelli di società comuniste compiute e lotta continua (termine ripetutamente scandito, a sottolineare l’omonimo schieramento politico extraparlamentare in cui ha militato per anni):                                                                                                                                                                                      

La rivoluzione, la rivoluzione, / la rivoluzione non è un semplice avvenimento. La rivoluzione, la rivoluzione, la rivoluzione è una conquista quotidiana. /Cina, Cuba, Algeria, Russia, Cile, Vietnam / sono esempi di vittoria della nuova civiltà. La rivoluzione, la rivoluzione / è la distruzione dei manicomi, degli ospizi e le prigioni. / La lotta continua, la lotta continua, / la lotta continua contro ogni sfruttatore. / La lotta continua, la lotta continua, / la lotta continua contro il servo e il suo padrone. / La lotta continua, la lotta continua, / la lotta continua contro ogni qualunquista. / Cina, Cuba, Algeria, Russia, Cile, Vietnam / sono esempi di vittoria della nuova civiltà. / La rivoluzione, la rivoluzione, / la rivoluzione non è un semplice avvenimento. / La rivoluzione, la rivoluzione, / la rivoluzione è una conquista quotidiana[4].                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

A suffragio della propria coerenza, Del Re si spostava, come amava definirsi, da “pedone esistenziale” solo in bicicletta o su mezzi di trasporto pubblici, effettuando una personale autoriduzione del biglietto, con relativo, se opportuno, estemporaneo comizio per gli astanti e ritardo per gli spettatori ad attenderlo; chiedeva un cachet pari al salario medio sindacale della giornata lavorativa di un operaio metalmeccanico e la sua esibizione poteva durare, parimenti, anche otto ore, se paradossalmente il pubblico l’avesse desiderato. Egli non riconosceva istituzioni quali l’INPS, la SIAE e i normali canali della diffusione del mercato della cultura: ha autoprodotto LP, audio-cassette, successivamente riversate in CD, che vendeva nei concerti o sulla bancarellina che allestiva il sabato mattina al mercato settimanale di Mola di Bari, occasione propizia per chi voleva incontrarlo.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          

Ed impegno quotidiano ha significato anche responsabilità nei confronti della storia non narrata nei libri ufficiali. Il funesto evento avvenuto con l’intervento delle forze dell’ordine in seguito alla occupazione delle terre che causò la morte di due  braccianti, il 2 dicembre del 1968 ad Avola, in provincia di Siracusa, è occasione di denuncia nel gridato-recitato, composto a due mani con l’etnomusicologo Antonio Infantino, su testo di Dario Fo, per lo spettacolo Ci ragiono e canto:

Per terra tre chili di bossoli di proiettili / uno, due inchiodati per terra / arrivano le donne piangendo arriva telegramma del ministro: / «Sentite condoglianze, spiaciuto disgrazia, stop». / Arrivano lire 500.000 a testa, 10.000 a chilo, più che il filetto. / I lavoratori scioperano in tutta Italia / I sindacati hanno deciso per venti minuti di sciopero / senza uscire dalla fabbrica. / Grazie compagni per il gesto di solidarietà[5].                                                                                                                                               

In un’epoca in cui la qualità del lavoro aveva un valore morale e ideale dell’artigianato (non arte minore, ma attività creativa e artistica a tutti gli effetti negli umani tempi di realizzazione, in opposizione al massacrante, alienante impegno alla catena di montaggio), la rabbiosa risposta della logica rivoluzionaria ha trovato esplosione nell’ostruzionismo di Lavorare con lentezza, canto ritmato dalla monotona percussione a mimesi dell’infinita ripetitività della catena di montaggio in fabbrica:                                                                                                        

Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo / chi è veloce si fa male e finisce in ospedale / in ospedale non c’è posto e si può morire presto. / Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo / la salute non ha prezzo, quindi rallentare il ritmo / pausa pausa ritmo lento, pausa pausa ritmo lento / sempre fuori dal motore, vivere a rallentatore. / Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo / ti saluto ti saluto, ti saluto a pugno chiuso / nel mio pugno c’è la lotta contro la nocività  / Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo / Lavorare con lentezza. Lavorare con lentezza. / Lavorare con lentezza. Lavorare con lentezza[6].                                                                                                                                                                                         

Al canto faceva seguito negli spettacoli un aforisma, «Adoro il lavoro, ma detesto la fatica», che anticipava la logica conclusione di Tenghe na voglia e fa niende[7], così come confermato da conclamato copione al Concertone del Primo Maggio a Roma, in prima serata televisiva, ospitato nel proprio set da Vinicio Capossela; l’anno prima del suo decesso, che gli ha garantito la notorietà a cui non ha mai ambìto[8]:                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

Tengo na voglia / na voglia / e fa… niente! / Comm’o sole dint’a capa, / m’è trasuta a pensata / e s’incontro pa’ via, / chi ha inventato a fatica / io, ti giuro, l’accido, pecché / tengo na voglia / na voglia /e fa… niente! Si a fatica era ’bbona, / m’ha cunsigliato o’ dottore, / si a fatica era ’bbona  / nun pregavano i preti / benedizione alla fatica / e a chi la vuole. Tengo na voglia / na voglia / e fa… niente! / Chi m’ha mis’in catena, / passa a vita in vacanza, / io fatico e fatico / e passo pure da stronzo: / vaffanculo alla fatica /e a chi la vuole. / Tengo na voglia / na voglia / e fa… niente! La fatica è onore, / ma si ta scansi, meglio ancora! / Beato chi, cumm’è, sa riesce a scansà! / Tengo na voglia / na voglia / e fa… niente[9].                                        

La provocatoria forza dissacratoria nei confronti delle offese ai diritti umani sembra rassodarsi, infine, nella distesa ironia di Te adoro e te ringrazio, rivolto ad un soggetto la cui identità nascosta, con perspicace tecnica narrativa, è affidata alla riflessione dell’ascoltatore:

Se prima a ’sto mondo / non c’era nessuno / che ce la faceva a campare digiuno. / Ti adoro e ti ringrazio / che senza mangiare / mi sento sazio. / Dopo quello che ho visto / mi sento in braccio a Cristo. / Posso vivere d’aria come un miliardario. / Ti adoro e ti ringrazio / che senza mangiare / mi sento sazio. / Se gli altri vivono nel terrore, / se il cussù cussù va un po’ giù. / Ti adoro e ti ringrazio / che senza mangiare / mi sento sazio. / Dopo quello che ho visto mi sento sbalordito, / ho perso l’appetito perciò non mangio più. / Ti adoro e ti ringrazio / che senza mangiare / mi sento sazio. / Se i ricchi non mangiano per non cacare / perché digerire è una gran fatica. / Ti adoro e ti ringrazio / che senza mangiare / mi sento sazio. / Se non mi sento male / mi sento tanto bene: / mi sento in paradiso / ora non caco più. / Ti adoro e ti ringrazio / che senza mangiare / mi sento sazio[10].                                                                                                                                                                             

Quasi per esorcizzare l’emarginazione causata dagli scomodi e provocatori versi dei suoi canti, Del Re ha suggellato la propria vita come un’opera d’arte dell’anticonformismo: «Per tutta la vita è stato anarchico e ha vissuto, senza compromessi, i suoi principi etici e politici fino alle estreme conseguenze, fino ad andarsene in completa solitudine, nella stanza di casa sua, nel paese in cui è nato, cresciuto e morto»[11]. Ha sbandierato atti di accusa con i propri simboli.                                                                                                                 La sedia. Enzo Del Re ha ideato e inciso composizioni, che ha eseguito accompagnandosi col suono prodotto percuotendo in maniera singolare, con palmi e polpastrelli, il fondo di legno di una comune sedia da ufficio che stringeva tra le gambe. Il motivo della scelta è offerto dalle strofe arabescate di un suo canto esplicativo: «Io e la mia sedia in giro per il mondo / a cantare, a suonare a concertare / perché la pena capitale bisogna contestare / perché la pena capitale bisogna contestare  / […] con una sediaccia elettrica / ammazzati in America fulminati / i compagni Sacco e Vanzetti dai governantacci fulminati»[12]. Era solito utilizzare anche una valigia rossa, ugualmente a simbolo, come denuncia dell’emigrazione.

Sedia come opposizione semantica, oltre il normale utilizzo, sino a quando sarà abolita l’omonima elettrica per la pena di morte. Nobilissima la ragione di riscattarla da strumento di morte, ma la stessa, assunta a simbolo di protesta, rischia di diventare anche significante di separatezza ed isolamento nel suo rapporto col mondo nella finzione dello spettacolo:

C’è qualcosa di più intimo nella scelta di Enzo, nel rapporto con la sua sedia, strumento del domatore di leoni, umile legno, luogo inerte dell’anima inerte che vi si poggia sopra, di fronte al cantante. La sedia, per chi lavora con il pubblico, è innanzi tutto lo spazio dello spettatore. Enzo si è assunto il ruolo di provocatore di questo ruolo passivo, e qui ci soccorre la sua aneddotica di mille scontri fra Del Re e i suoi spettatori. «Bisogna resistere un minuto più del padrone», dice lo slogan degli scioperi dei metalmeccanici. Dunque l’artista deve resistere in scena un minuto oltre l’abbandono della sala (della sedia) dell’ultimo dei suoi spettatori. La provocazione permanente non invita il pubblico a tornare, né i colleghi a condividere i suoi palchi. C’è una grande ricerca della solitudine nella pratica di questo cantore popolare[13].                                                                                                                                                                           

Non solo la sedia come simbolo, anche il corpo. Enzo Del Re si autodefiniva “corpofonista”. La contestazione al potere, inoltrata su basi politiche, assume manifestazioni originali nelle forme rituali della sua sperimentazione artistica: rifiutando gli strumenti musicali tradizionali, sfrutta tutte le potenzialità degli organi di cui l’essere umano dispone nell’emissione dei suoni, come gli schiocchi cantanti della lingua (per il cui utilizzo a fini musicali si autoconiò anche “linguafono”) modulati dall’apertura e chiusura della bocca o il fischio che intervallava alle sue litanie:

Ne nascevano ritmi ipnotici, sui quali modellava il suo canto, con una voce calda, profonda, ammaliante, perfettamente intonata. Nonostante la sua ideologia ferrata, le sue canzoni hanno sempre avuto un tono lieve, con giochi di parole, scherzi onomatopeici, invettive bizzarre contro i potenti […] che bene si miscelavano all’accompagnamento del tamburo di legno, un suono materico che ora era cabaret, ora propaganda, ora coscienza dolorosa[14].                                                                                                                                                    

Una rivoluzionaria riappropriazione degli strumenti espressivi che tanto ricorda il coevo romanzo Vogliamo tutto di Nanni Balestrini, caposcuola per i cosiddetti “scrittori selvaggi”.

Anche la scelta del dialetto risulta una precisa volontà politica di rendere il popolo protagonista della propria storia, trasmettendola con il codice linguistico che gli appartiene. Tra i brani del suo primo LP, Del Re ha inserito una personale rielaborazione del canto tradizionale molese Matalene[15], a cui fa seguito una triste radiografia, ricca di comunicatività, sull’attività lavorativa predominante nell’economia locale: U cande du navegande:

Io tengo la bocca amara e il cuore nero / sono navigante a bordo di vapori. / Io tengo il cuore nero e la bocca amara / perché vado esperto sopra una schiuma di mare. / Sono navigante e a bordo alla petroliera / mi piango il bene di casa e di mia moglie. / Quando mi allontano dalla banchina / ti piango a grandi lacrime, Rosina. / La piena, il vento e la tempesta / mi fanno dimenticare che esiste la festa. / Da Ponente e da Levante / se ne va sempre col Patos / ’sto navigante. / Da Levante a Ponente, notte e giorno / vi chiamo. / Io faccio la bava alla bocca / ma nessuno mi sente. / La sera, quando in cielo spunta la Luna / famiglia mia vi abbraccio ad uno ad uno. / La notte, quando viene la tramontana / famiglia mia vi voglio assai più bene. / Per anni, per mesi / mi sogno l’aria di questo paese. / Una buona volta, quando me ne torno / spero che mia moglie / non mi abbia fatto le corna. / Io tengo il cuore nero e la bocca amara / perché vado esperto sopra una schiuma di mare[16].                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

Il legame col paese natale amoroso e viscerale, ma non adeguatamente riconosciuto, come lui stesso ebbe a dichiarare,  può essere esemplificato dall’amara conclusione del brano Maul, per cui «non c’è città più arretrata di te»[17].                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

Del Re, fruitore delle tradizioni popolari (diversi vocaboli dialettali arcaici, modi di dire, metafore ecc. sono presenti nei suoi versi, come nel successivo canto citato ad esemplificazione)[18], da attento osservatore critico ha proferito la sua fredda e dissacrante denuncia sociale nei confronti delle superstizioni nei graffianti versi di  Scittrà[19], canto scritto quasi a risposta di Musciu niuru (Gatto nero) di Domenico Modugno, ed allegorica condanna dell’emarginazione che tocca a tutti i diversi: il grido onomatopeico che dà titolo al canto accompagna nella narrazione il macabro rito scatenato dalla “vecchiaredde” per scacciare la “gatta gnore”, perseguitata ed assalita sino alla crocifissione dai popolani che le sopprimono gli ultimi istanti di sopravvivenza, dopo un lento stillicidio programmato:

                                                                                                                                                                                                                                              Un giorno una certa famiglia / veniva dalla chiesa / con l’anima in pace / tornava dalla messa. / Si erano confessati e comunicati / ma tutto d’un tratto, / giunti all’angolo di casa, / videro una gatta che rovistava tra l’immondizia. / Madonna Santa! Gridava la vecchietta / che sapeva proprio tutto.  / Padre, Figlio e Spirito Santo! / gridava a tutti quanti. / Madonna, una gatta nera / porta sempre jettatura. / Figli miei della jettatura / vi dovete salvaguardare / e per non aver sventure / la dobbiamo far scappare. / Scittrà, gridava la vecchietta, / vedendo la gatta / e ascoltando la vecchia, / tutta la famiglia / in mezzo alla via si scordò dei Santi / e grattandosi d’avanti / e facendo le corna / tutti gridavano: scittrà, scittrà / La gente di tutto il quartiere / sentì le grida. / La gente  sentendo le grida / si affacciò; /la gente affacciandosi vide la gatta / vedendo la gatta / la gente scappò in casa; / prese la scopa, la frusta, / corse all’angolo per scacciarla. / Scittrà, scittrà, scittrà. / Tutto il quartiere grida scittrà. / Chi le dava una pedata, chi la pigliava a sassate; / quella gatta disperata / si lagnava strada strada: / ma che colpa tengo io se sono nera, / pigliatevela con la natura / che mi ha dato il pelo scuro; / sono un’anima innocente, / non faccio male a niente; / lasciatemi in pace. / Ma nessuno voleva capire / cos’era quel «miao miao ». / Ognuno sapeva che era il lamento / di un brutto gatto nero. / A questo mondo non c’è sordo / più sordo di chi non vuol sentire / perciò tutta la gente gridava: scittrà. / Scittrà, scittrà, scittrà / tutto il quartiere gridava scittrà. / Angolo per angolo è sempre la stessa canzone. / La gente la piglia con la scopa / o a sassate; /ognuno se ne frega di quel lamento / capisce solo che è il lamento schifoso / di una gatta iettatrice / che bisogna cacciare da questo paese. / Scittrà, / ormai tutto il paese grida: scittrà. / Per l’amore di Dio / sia fatta la volontà di Cristo / si lagnava strada strada / implorava ad ogni passo. / Una volta fuori dal paese / pensava che finalmente l’avrebbero / lasciata in pace. / Ma quelli gridarono: / se la lasciamo, questa torna / dobbiamo trovare un altro posto buono / per liberarci di questo imbarazzo / andiamo a gettarla nella «grave di Minghiarza». / E così, chi la prese per la coda / chi per le zampe / in quattro e quattr’otto la buttarono giù. / Sulla grave, quel giorno, /sorella, madre, padre e figli / per acquietare la coscienza / giocavano a scaricabarile: / no, non sono stato io / è stato il cane della masseria / – si dicevan l’un l’altro – / dandosi tre pugni in petto / tornandosene a casa. / Sola, triste e insanguinata / quella gatta sventurata / si incazzava per la sorta disgraziata: / Ahi, quant’è scema la gente del mondo; / la gente del mondo quant’è scema. /Come è scema così diventa infame, / ma che colpa tengo io / la colpa è solo sua; / ma l’uccello bagna il letto / e il sedere è sculacciato; / e si straziava in terra / per il dolore e la sventura / quelle grida nel cervello / sono mazzate di martello: / scittrà, scittrà, scittrà[20].                                                                                                                                                                

La stagione artistica di Del Re iniziò, “furentemente”, nel 1967, con un canto dal titolo programmatico per gli anni a venire, Ho la criniera da leone (perciò attenzione),  composto in collaborazione con Antonio Infantino, con cui, su suggerimento della Nanni Ricordi, editore di questa prima incisione, entra a far parte della compagnia Nuova Scena di Dario Fo nella seconda edizione dello spettacolo Ci ragiono e canto dello stesso Dario Fo, rappresentazione della condizione operaia attraverso i canti tradizionali della Penisola; successivamente, anche dopo l’uscita di quest’ultimo e la moglie Franca Rame, ebbe ruoli primari in altri spettacoli (Un sogno di sinistra, MTM, Diario di classe, Qui tutto bene così spero di te, Le dimensioni del Nero) con la regia di Vittorio Franceschi; la collaborazione con il fraterno compagno d’arte Antonio Infantino continua con l’allestimento di Scatola 3, rappresentato al cabaret milanese di Enzo Jannacci e al Folk Studio di Roma, a cui fecero seguito diverse repliche; dal 1973 entrò nei circuiti dei Circoli di Ottobre, ideati da Pino Masi e Sergio Martin, con cui pubblica un 45 giri, Tonino Miccichè (dedicato al militante di Lotta Continua ucciso a Torino nel 1975) sulla melodia di una composizione di Mikis Theodorakis; a seguito della pubblicazione degli LP autoprodotti Maul (1973) e Il banditore (1974), trova rasserenamento intimistico ed ermetico in due opere fluviali: due musicassette, Canzoni di lotta contro i nemici dell’8 marzo (1994), e un cofanetto di 4 musicassette, con libretto dei testi in vernacolo e traduzione a fronte, La leggenda della nascita di Mola (1994), dedicato alla cittadina nativa presso cui si era ritirato dalla fine degli anni ’70.

Negli anni più recenti sono sempre più rare le sue esibizioni in pubblico. Nel 2006 partecipa ad una tappa del Festival Stradarolo, ideato dai Têtes de Bois: una parte della sua esibizione è stata inserita nel Diario di un camioncino, a cura della giornalista Timisoara Pinto che, peraltro, sta curando la sua biografia di prossima edizione.

Il 13 novembre 2010, Del Re è stato invitato alla Rassegna della Canzone d’Autore “Premio Tenco”, al Teatro Ariston di Sanremo, dove ha eseguito Scittrà, Lavorare con lentezza e Tenghe ’na voglia e fa niente e ha presentato alla stampa il brano Povera gente.

È del 2008 Le storie cantate. Viaggio tra i cantastorie di Puglia, della durata di 60 minuti, con la regia di Nicola Morisco e Daniele Trevisi, documentario con protagonisti Enzo Del Re, Uccio Aloisi, Tonino Zurlo, Matteo Salvatore e i Cantori di Carpino, con contributi di Antonio Infantino, Moni Ovadia, Daniele Sepe e Michele Placido.

Il regista Angelo Amoroso d’Aragona, nel 2010, ha realizzato il documentario, della durata di 63 minuti, Io e la mia sedia, di cui è stata anticipata una futura pubblicazione con ulteriori interviste (a Dario Fo, Sergio Martin, Pino Masi, Andrea Satta dei Têtes de Bois, Antonio Infantino, Vittorio Franceschi, Paolo e Isabella Ciarchi, Roberta Cancelli, Romolo Epifania dello Studio Funkfulla e, naturalmente, Del Re), nonché estratti delle ultime sue esibizioni di Del Re tra il 2009 e il 2010 nei concerti con Vinicio Capossela.

Sempre nel 2010, il regista Francesco Cristino ha prodotto il radio-documentario Il pugno sulla sedia. La leggenda popolare di Enzo Del Re, per l’emittente tedesca Funkhaus Europa. Il filmaker Gianfranco Moccia ha registrato amatorialmente diversi canti di Del Re  visionabili su You Tube.

Si auspica la costituzione, già in fase di attuazione, della Fondazione Enzo Del Re, ad opera degli eredi, amici ed estimatori per la consultazione dei documenti originali e dei materiali di studio, per la cui archiviazione sta collaborando la Sovrintendenza dei Beni Culturali ed Ambientali di Puglia.

Il 22 agosto 2011 e il 2 settembre 2012, presso l’Anfiteatro del Castello Angioino di Mola di Bari, si sono tenute due commemorazioni per Enzo Del Re, con l’interpretazione di alcuni suoi canti da parte di artisti che lo hanno conosciuto ed apprezzato.

DISCOGRAFIA

1) Percussioni e seconda voce per Antonio Infantino, Ho la criniera da leone (perciò attenzione), LP 33 rpm, Ricordi, 1967.

2) Avola, in Dario Fo, Ci ragiono e canto, 2 LP 33 rpm, Nuova Scena, 1968.

3) Senza titolo, con Antonio Infantino, in Canzoni per la campagna elettorale, EP 33 rpm, PCI, 1968.

4) Un sogno di sinistra, LP 33 rpm, Nuova Scena, 1969.

5) MTM, LP 33 rpm,1969.

6) Diario di classe, LP 33 rpm, Nuova Scena, 1970.

7) Qui tutto bene… e così spero di te (Emigrazione & imperialismo), LP 33 rpm, Nuova Scena, 1971.

8) La dimensione del nero, LP 33 rpm, Nuova scena, 1972.

9) Maul, LP 33 rpm, Mono Enzo Del Re, 1973.

10) Il Banditore, LP 33 rpm, CP 002 Enzo Del Re, 1974.

11) Ballata per Tonino Miccichè / San Basilio, SP 45 rpm, Circoli Ottobre CO 15, 1975.

12) A leggende da nascete de Maule, 4 musicassette Stereo, Mono Enzo Del Re, 1992.

13) Canzoni di lotta contro i nemici dell’8 marzo, 2 musicassette Stereo, Mono Enzo Del Re, 1994.

14) Lavorare con lentezza e Tenghe na voglia e fa niende, in G. Cellammare, U popole mije, CD, Latarantola, 2009.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Abatangelo A., Palumbo A., Vocabolario etimologico illustrato del dialetto molese, Palo del colle, Danisi, 2001.

Calabrese M., Colori suoni memorie di Puglia, Roma-Bari, Laterza, 1987.

Cantore L., Enzo Del Re, in Dizionario dalla canzone italiana, Milano, Curcio, 1990.

Ciannamea C., Enzo Del Re: un canzoniere politico-popolare, tesi di laurea, Università degli Studi di Bologna, a.a. 1993-1994.

De Santis G., Ricordi storici di Mola di Bari, Palo del Colle, Liantonio, 1980.

Di Bari P., Immagini della vecchia Mola, Bari, 1973.

Fo D., Ci ragiono e canto, Milano, Fabbri, 1977.

Mancarella G.B., Osservazioni fonetiche sul dialetto di Mola, «Studi linguistici salentini», 1971.

Palumbo A., Canti popolari molesi e di terra di Bari, Palo del Colle, Danisi, 1997. 

Uva N., Saggio storico su Mola di Bari, Bari, Dedalo, 1964.

FILMOGRAFIA SU ENZO DEL RE

  1. Amoroso d’Aragona, Io e la mia sedia, Edizioni dal Sud per Teca del Mediterraneo e More Production, 63 minuti, 2010.
  2. Morisco, D. Trevisi, Le storie cantate. Viaggio tra i cantastorie di Puglia,

RADIOPROGRAMMI SU ENZO DEL RE

  1. Cristino, Il pugno sulla sedia. La leggenda popolare di Enzo Del Re, documentario realizzato per l’emittente tedesca Funkhaus Europa.

RECENSIONI

  1. Capossela, Enzo del Re, la sedia e la valigia, «La Repubblica, Spettacoli e Cultura», 12 giugno 2011.
  2. Lega, La morte di Enzo Del Re e il nuovo libro di Roberto Roversi, «A-Rivista anarchica», anno 41, n. 365, ottobre 2001.
  3. Sofri, È morto Enzo Del Re, http://www.ilpost.it/2011/06/07/

[1] C. Ciannamea, Enzo Del Re: un canzoniere politico-popolare, tesi di laurea, Università degli Studi di Bologna, a.a. 1993-1994.

[2] E. Del Re, Comico, in Il Banditore, LP 33 rpm, CP 002 Enzo Del Re, 1973. Successivamente Del Re sostituirà «Giap, Giap, Ho Chi Min» con «Bakunin», a seguito della sua conversione all’anarco-sindacalismo. Per la trascrizione dei canti mi sono attenuto a quanto l’autore ha trasmesso dei propri testi in dialetto o nella traduzione in lingua italiana.

[3] E. Del Re, I pret, in Maul, LP 33 rpm, Mono Enzo Del Re, 1973.

[4] E. Del Re, La rivoluzione, in Il banditore, cit.

[5] D. Fo, E. Del Re, A. Infantino, Avola, in Ci ragiono e canto, LP 33 rpm, Nuova Scena, 1968.

[6] E. Del Re, Lavorare con lentezza, in Il banditore, cit. Il canto Lavorare con lentezza è stato, nel 1977, la sigla di apertura e chiusura dell’emittente privata Radio Alice e, nel 2004, colonna sonora dell’omonimo film di Guido Chiesa e Corrado Sannucci.

[7] Entrambi i brani saranno reincisi nel CD U popole mije, di Gianni Cellamare, edito dall’Associazione Latarantola nel 2009.   

[8] Cfr. R. S., Enzo Del Re. Spopola on line il cantastorie del Primo Maggio, «Corriere della Sera», 6 maggio 2010.

[9] E. Del Re, Tenghe na voglia e fa niende, in Il banditore, cit.

[10] E. Del Re, Te adoro e te ringrazio, in Maul,cit.

[11] V. Capossela, Enzo del Re, la sedia e la valigia, «La Repubblica», 12 giugno 2011.

[12] E. Del Re, Io e la mia sedia, in A. Amoroso D’Aragona, Io e la mia sedia, video-documentario, Edizioni dal Sud per Teca del Mediterraneo e More Production, 2010, 63 minuti.

[13] A. Lega, La morte di Enzo Del Re e il nuovo libro di Roberto Roversi, «A-Rivista anarchica», anno 41, n. 365, ottobre 2001.

[14] L. Sofri, È morto Enzo Del Re, http://www.ilpost.it/2011/06/07/

[15] A. Palumbo, Canti popolari molesi e di terra di Bari, Palo del Colle, Danisi, 1997, pp. 23-25.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       

[16] E. Del Re, U cande du navegande, in Maul, cit.        

[17] E. Del Re, Maul, in Maul, cit.

[18] «L’uccello piscia il letto e il culo prende mazzate»; «Non c’è sordo più sordo di chi non vuol sentire».

[19] Cfr. M. Calabrese, Mola di Bari. Colori suoni memorie di Puglia, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. 100.

[20] E. Del Re, Scittrà, in Maul, cit